Tappa 1

Abbazia di Chiaravalle

Via S. Arialdo 102

www.monasterochiaravalle.it

Condizioni di visita: la chiesa e il chiostro sono visitabili individualmente con ingresso gratuito; il mulino e la cappella di San Bernardo solo con visita guidata su prenotazione e a pagamento

Parco Agricolo Sud Milano

www.cittametropolitana.mi.it

Ancora oggi popolata dalla comunità monastica, l’abbazia di Chiaravalle rappresenta uno dei maggiori complessi cistercensi italiani. Giunto da Clairvaux alla guida di un gruppo di monaci, nel 1135 Bernardo ne stabilì la fondazione in un’area paludosa e incolta che nel giro di pochi anni, grazie allo sfoltimento dei boschi e alla regolazione e al drenaggio delle acque operato dall’Ordine, fu messo a coltura in estensioni sempre più vaste. L’abbazia è immediatamente riconoscibile dalla torre nolare alta oltre 50 metri (1347-1349), costituita da logge digradanti a bifore, trifore e quadrifore in marmo di Candoglia. Più antica è la chiesa, eretta nella prima metà del XII secolo con facciata a capanna e rifatta nel Seicento, le cui tre navate con volte a crociera sono uno scrigno di opere d’arte. Puro Rinascimento è la dolcissima Madonna col Bambino di Bernardino Luini (1512) nel transetto, affrescato nel XVII secolo dai fratelli Fiammenghini; puro barocco è il coro in noce intagliato da Carlo Garavaglia (1645 circa). A destra della chiesa, nella Sala capitolare affacciata sui resti del chiostro gotico duecentesco, si ammirano graffiti attribuiti alla scuola di Bramante, mentre sul piazzale la cappella di San Bernardo è un piccolo gioiello decorato con affreschi quattrocenteschi di carattere rinascimentale italiano e influssi nordeuropei.

Tra gli annessi agricoli dell’abbazia, il mulino del XIII secolo, a cavallo di una roggia derivata da un canale della Vettabbia, è oggi un laboratorio didattico di erboristeria e panificazione. Alla Bottega dei Monaci è invece possibile acquistare diversi prodotti confezionati in loco, tra cui miele, marmellate, erbe aromatiche e, ovviamente, il Grana Padano Dop, la cui ricetta, si tramanda, fu messa a punto nell’abbazia intorno all’anno Mille per non sprecare l’eccedenza del latte.

 

 

 

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