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Lombardia

Lecco. Nei luoghi dei Promessi Sposi

Itinerario

Lecco. Nei luoghi dei Promessi Sposi

in collaborazione con Touring Club Italiano

Come novelli Renzo e Lucia, si entra nella scenografia naturale dei Promessi Sposi in «quel ramo del Lago di Como che volge a Mezzogiorno tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi». Guidati dalla penna manzoniana, si ritrova la quiete a Lecco, tra le viuzze del quartiere di Pescarenico con le casette dei pescatori che si specchiano nell’acqua. Alle spalle, il Monte Resegone dai Piani d’Erna appare vicinissimo. Dal lungolago lecchese, dove beccheggiano ancora le tipiche imbarcazioni che condussero alla fuga Renzo e Lucia, si sale a Vercurago. Il cupo Castello dell’Innominato è sempre lì, a dominare dall’alto la valle dove il lago si restringe e comincia l’Adda. Il saluto romantico è dalla riva di Malgrate, su cui si affacciano le finestre dell’albergo ispirato ai Promessi Sposi.

La familiarità del Manzoni con i luoghi descritti nei Promessi Sposi emerge vivida come in una fotografia, che il viaggiatore riconosce non appena la SS 36 costeggia il Lago di Garlate e «quell’ultimo tratto dell’Adda». L’appassionante romanzo storico inquadra un paesaggio molto caro all’autore, che abitava nella villa di famiglia, oggi divenuta museo. Si entra a Lecco attraversol’antico Ponte Azzone Visconti, già presente all’epoca, «che ivi congiunge le due rive». Come si legge nell’incipit del romanzo, «tra due catene non interrotte di monti» e tra le balze rocciose, non è difficile immaginare l’inquietudine di chi percorreva le contrade dove si trovava il palazzotto di Don Rodrigo e dei suoi gaglioffi bravi, benché di questa costruzione non rimanga traccia. Così come gli attuali quartieri di Olate e Acquate hanno ormai inglobato i viottoli di campagna e gli orti dove Don Abbondio passeggiava e Renzo correva ansioso alla casa della sua Lucia. A parte la Torre Viscontea in Piazza XX Settembre e il vallo con i resti delle mura spagnole, a Lecco rimane ben poco del borgo storico dei «tempi in cui accaddero i fatti», quando la provincia era sotto il dominio di signori locali più o meno tiranni. Diverso è il rione di Pescarenico, che conserva il fascino antico del borgo di pesca. Qui ebbe inizio la rocambolesca fuga degli sposi promessi dopo una notte piena di spaventi, grazie all’aiuto di un barcaiolo che, avvisato dal cappuccino Fra Cristoforo, li traghettò sulla riva opposta. Non molto distante, il Castello dell’Innominato a Vercurago domina dall’alto una veduta spaziale, dalla quale «come l’aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi». E ancora più in alto, dal belvedere dei Piani d’Erna si osserva, vicinissimo, il Resegone. Il Manzoni amava molto questa montagna che si erge sopra la città e la tenuta dove era cresciuto. Lo stesso Renzo la guarda con nostalgia: «Voltandosi indietro vide all’orizzonte quella cresta frastagliata di montagne, vide distinto e alto tra quelle il suo Resegone, si sentì tutto rimescolare il sangue». Parole che annunciano il lungo esilio dalle sue terre, una lontananza resa ancor più tragica dalla diffusione della peste, di cui è testimone la piccola cappella di Malgrate, una delle poche rimaste.

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