Copertina dell'itinerario San Benedetto in Alpe. L’Acquacheta. EMILIA-ROMAGNA-wide-scaled-1.jpg
Emilia-Romagna

San Benedetto in Alpe. L’Acquacheta

Itinerario

San Benedetto in Alpe. L’Acquacheta

in collaborazione con Touring Club Italiano

La cornice naturale selvaggia e il fascino letterario rendono la cascata dell’Acquacheta la meta più affascinante del Parco delle Foreste Casentinesi. Lo stesso Dante ne rimase affascinato, tanto da citarla nel suo Inferno, in versi oggi incisi su una fontana all’inizio del percorso. Si cammina silenziosi lungo il sentiero che in circa due ore conduce da San Benedetto in Alpe alla superba rupe gradonata, dove il salto della cascata stordisce l’udito con un fragore infernale. Più avanti lungo il cammino, oltre che dal brontolio del torrente, si rimane incantati dai mutevoli sfondi del paesaggio di salici, ontani, faggi e castagni, dalla grazia discreta del mulino abbandonato e, all’arrivo, dall’oasi erbosa dell’Eremo dei Romiti, le cui rovine sono incastonate come un diamante fra le aspre prospettive dei monti appenninici.

Sono molte le ragioni che rendono la cascata dell’Acquacheta, gita classica del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, una meta da non mancare: l’ombroso e imponente intreccio di boschi di roverella, cerro e carpino nero che si alternano a salici e pioppi sul greto del fiume; le suggestioni letterarie legate al XVI Canto dell’Inferno di Dante, che nel 1302, esule da Firenze, passando di qui nel suo viaggio verso Forlì, paragonò l’Acquacheta alla fragorosa e inquietante cascata del fiume Flegetonte. E infine il gran numero di animali che popolano foreste e torrenti: volpi e caprioli, uccelletti canori, falchi e poiane, rane e salamandre, trote e gamberi di fiume. Da San Benedetto in Alpe, dopo aver letto i versi del sommo poeta incisi all’inizio del sentiero CAI 407, ci s’incammina sulla mulattiera che risale dolcemente la riva sinistra del rio accompagnati dal cupo brontolio delle sue acque. Superato il fosso del Fiumicino, ecco apparire alla vista il Capanno del Rospo, un vecchio edificio in pietra adibito a ricovero di attrezzi, seguito a poca distanza dalla grazia discreta del Mulino dei Romiti, con le sue macine d’epoca antica e le grandi pozze d’acqua. Bastano solo pochi minuti prima di essere frastornati dalla visione e dal fragore della “caduta”, com’è chiamata in questi luoghi la cascata dell’Acquacheta: 70 m (per 35 di larghezza) di precipizio fragoroso che si getta nel sottostante alveo del rio Lavane. Ancora una breve salita e si arriva infine al Pianoro dei Romiti, ampio prato verdissimo, circondato dalle selve solitarie dell’Appennino, luogo d’impervi e remoti silenzi. Qui San Romualdo, iniziatore dei Camaldolesi, nel X secolo fondò un Eremo di cui oggi non rimangono che pochi ruderi su uno sperone roccioso, muti testimoni di un passato di vita e spiritualità.

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